1.686 miliardi: è la spesa mondiale per gli armamenti che nel 2016 è aumentata, rispetto all'anno prima dello 0,4%, raggiungendo il 2,2% del Pil mondiale. Lo racconta l'ultimo rapporto dello Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), pubblicato lunedì 24 aprile.
Dietro questo dato c'è una situazione variegata in relazione alle diverse regioni del mondo: Medio Oriente, America centrale e del Sud e Africa Sub-sahariana registrano infatti un calo delle spese militari, collegato anche al calo degli introiti petroliferi, rilevanti per diversi Stati di queste aree, mentre in Asia, Oceania, Nord Africa ed Europa centrale e dell'Est si registra un trend crescente.
Se Stati Uniti e Cina restano saldi in testa alla classifica dei Paesi che spendono di più nel settore difesa, rispettivamente con 611 e 215 miliardi, e la Russia occupa la terza posizione con 69,2 miliardi, scavalcando l'Arabia Saudita, all'Italia spetta invece il “primato” europeo. Tra il 2015 e il 2016, infatti, l'incremento è stato dell'11%. Il 2016, peraltro, sembra essere stato un anno memorabile anche per l'industria italiana del settore: l'export ha registrato infatti un aumento record dell'85,7%, pari a 14,6 miliardi di euro totali, grazie principalmente a una commessa per 28 caccia Eurofighter che Leonardo Finmeccanica ha venduto al Kuwait.
Riguardo al tipo di armamenti, a crescere, come ha spiegato a Radio Vaticana Maurizio Simoncelli, vicepresidente dell’Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo, sono soprattutto gli investimenti in armi “convenzionali” - cioè non nucleari – pilotate a distanza.
Ma soprattutto questi dati dicono una cosa: al di là dei proclami relativi a 54 miliardi di nuove spese militari e dell'attitudine bellicosa di Donald Trump, che insiste per un incremento delle spese per la difesa fino al 2% del Pil nazionale da parte dei Paesi membri della Nato, la tendenza a un aumento degli investimenti in armamenti è sicuramente precedente all'avvento di Trump alla Casa Bianca.
Bonus track
§ Siamo entrando nell'era della frammentazione, riflette Quartz. Dopo un quarto di secolo in cui la globalizzazione è stato il paradigma dominante e ha dato vita a colossi “apolidi” dal punto di vista del business, come Google, Walmart e General Electric, ora questi devono confrontarsi sempre più con regole locali.
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